Sentenza della Cassazione Civile n° 8836 del 27/10/94 Sez.Unite
Casse di risparmio – Ordinamento amministrativo – “Quote“ di risparmio rappresentate da titoli al portatore – Emissione – Legittimità – Principio della temporaneità dei rapporti obbligatori – Irrilevanza.
Responsabilità civile – Amministrazione pubblica – Poteri di vigilanza e di controllo – Esercizio – Omissioni o negligenze della P.A. e diffusione di informazioni inesatte – Illecito civile – Configurabilità – Giudice ordinario – Cognizione – Ammissibilità.
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del popolo italiano
La Corte Suprema di Cassazione
SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati: Dott. Ferdinando ZUCCONI GALLI FONSECA Primo Pres. Agg. “ Vincenzo DI CIO` Pres. di Sez. “ Romano PANZARANI “ “ Antonio IANNOTTA Consigliere “ Michele CANTILLO Rel. “ “ Vittorio VOLPE “ “ Alessandro PAOLUCCI “ “ Salvatore NARDINO “ “ Francesco AMIRANTE “ ha pronunciato la seguente SENTENZA il primo sul ricorso iscritto al n. 13578-91 del R.G. AA.CC. proposto da CASSA DI RISPARMIO DI PRATO, in persona del Consigliere Vicario p.t., elett.te dom.ta in Roma, Via Condotti n. 91 c-o lo studio dell`avv.to Paolo Ferro Luzzi che la rappresenta e difende unitamente agli avv.ti Alessandro Borgioli, e Vincenzo Cerulli Irelli, giusta delega a margine del ricorso. Ricorrente contro LANDINI RICCARDO, GORI CARLO, VIGNOLINI CARLO, BELLUCCI ANTONIO in proprio e quali componenti del CONSIGLIO DIRETTIVO DEL COMITATO DI TUTELA DEI QUOTISTI DELLA CASSA DI RISPARMIO DI PRATO, BANCO D`ITALIA. Intimati e sul secondo ricorso iscritto al n. 543-92 del R.G. AA.CC., proposto da LANDINI RICCARDO, GORI CARLO, VIGNOLINI CARLO, BELLUCCI ANTONIO, tutti in proprio e quali componenti del Consiglio Direttivo del Comitato di Tutela dei Quotisti della Cassa di Risparmio di Prato, elett.te dom.ti in Roma, c-o la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, rappresentati e difesi dall`avv.to Giannetto Guarducci, giusta delega a margine del controricorso e ricorso incidentale. Controricorrenti e ricorrenti incidentali contro CASSA DI RISPARMIO DI PRATO, BANCA D`ITALIA Intimati e sul terzo ricorso iscritto al n. 789-92 del R.G. AA.CC. proposto da BANCA D`ITALIA, in persona del Governatore p.t., elett.te dom.ta in Roma, Via Nazionale n. 91 c-o la Consulenza Legale della Banca D`Italia, rappresentata e difesa dagli avv.ti Paolo Barile, Renzo Corti e Giorgio Sangiorgio, giusta delega in calce al controricorso. Controricorrente contro LANDINI RICCARDO, CARLO GORI, CARLO VIGNOLINI, ANTONIO BELLUCCI, in proprio e al CONSIGLIO DIRETTIVO DEL COMITATO DEI QUOTISTI DELLA CASSA DI RISPARMIO E DEPOSITI DI PRATO, del quale essi sono componenti, CASSA DI RISPARMIO E DEPOSITI DI PRATO Intimati Avverso la sentenza n. 445-91 della Corte di Appello di Firenze dep. il 20.5.91 e notificata il 20.12.91. Udita nella Pubblica Udienza tenutasi il giorno 10.6.93 la relazione della causa svolta dal Cons. Rel. Dr. Cantillo. Uditi gli avv.ti Ferro Luzzi, Borgioli, Guarducci e Sangiorgio. Udito il P.M., nella persona del Dr. Mirto Aloisi, Avv.to Gen.le presso la Corte Suprema di Cassazione che ha concluso per l`accoglimento del ricorso principale e relativo ricorso incidentale della Banca d`Italia; e rigetto per il resto.
Fatto
Nel 1983, con deliberazioni approvate dal Ministero del Tesoro, lo statuto della Cassa di Risparmio e Depositi di Prato fu modificato in modo da consentire all`ente l`emissione di “titoli di risparmio al portatore liberamente negoziabili, i cui elementi caratterizzanti erano individuati in cio`, che attribuivano un trattamento privilegiato nella ripartizione degli utili, che avrebbero dovuto essere destinati in primo luogo ai portatori di tali titoli; consentivano una partecipazione consultiva nella gestione della Cassa, in quanto si prevedeva che rappresentati comuni dei portatori di detti titoli potessero partecipare, senza diritto di voto, all`assemblea generale e, con voto consultivo, alle sedute del Consiglio di amministrazione; ed era previsto del pari un particolare trattamento in caso di scioglimento o liquidazione dell`ente, giacche` si stabiliva che i versamenti dei sottoscrittori – i quali refluivano a norma dell`art. 4 dello Statuto, nel capitale sociale – dovessero essere rimborsati in prededuzione. In base a queste disposizioni la Cassa adatto` il regolamento di emissione dei titoli, che – in conformita` ad altra norma statutaria – nel giugno 1984 venne approvata dall`organo di vigilanza della Banca d`Italia; e, con deliberazione del 6 settembre 1984, la Cassa decise l`emissione di 300.000 titoli al portatore del valore nominale di lire 100.000, con un sovrapprezzo di lire 97.000. Quanto al regime dei titoli, nel regolamento di emissione e nel bando di offerta fu precisato: a) che i titoli davano diritto alla distribuzione di un dividendo in prededuzione nella misura minima di 1-20 del valore nominale e in ogni caso ad un utile superiore di due punti a quelli deliberato per le quote del fondo di partecipazione; b) che ai fini del dividendo i portatori dei titoli del fondo di risparmio assumevano verso la Cassa una posizione analoga a quella dei portatori di azioni di risparmio rispetto alla societa` per azioni (e nel prospetto informativo presentato alla Consob si fece riferimento appunto alla L. n. 216 del 1974); c) che i titoli avevano una durata illimitata, ma, ai sensi dell`art. 4 dello Statuto, era prevista l`istituzione di un fondo per il loro riacquisto da parte della Cassa. Effettuato il deposito del progetto informativo presso la Consob, i titoli furono collocati sul mercato, ma nei successivi quattro anni le vicende della Cassa ebbero un andamento marcatamente negativo, tanto che essa nel 1988 presentava – si legge in sentenza – crediti in sofferenza e perdite per mille miliardi e percio` il Ministero del Tesoro, su proposta della Banca d`Italia, ne dispose la gestione commissariale. Facendo riferimento a tali vicende, alcuni portatori di titoli al risparmio, in proprio e quali componenti del consiglio direttivo del Comitato di tutela dei quotisti della Cassa, con citazione del dicembre 1988 convennero innanzi al Tribunale di Prato la Cassa di Risparmio e la Banca d`Italia e ne chiesero la condanna solidale alla restituzione delle somme versate, con interessi e rivalutazione. A fondamento della domanda prospettarono due diverse causae petendi, entrambe ritenute configurabili nella vicenda. In primo luogo, dedussero la nullita` dei titoli tanto se qualificati come titoli di partecipazione, alla stregua delle azioni di risparmio, quanto se intesi come titoli di credito astratti; e, ponendo l`accento sul sistema di rimunerazione del capitale, sostennero che nell`operazione dovesse ravvisarsi in realta` un mutuo. In secondo luogo, sostennero che le sottoscrizioni delle quote erano invalide perche` viziate da dolo della Cassa o, all`opposto, da errore essenziale dei sottoscrittori, fuorviati dalle mendaci o avventate informazioni e promesse della Cassa. In relazione ad entrambe le domande la responsabilita` della Banca d`Italia fu argomentata assumendo che essa non aveva esercitato diligentemente le proprie funzioni di vigilanza, fra l`altro autorizzando l`operazione di emissione dei titoli senza tenere conto dell`effettiva situazione patrimoniale dell`azienda di credito. In contraddittorio dei convenuti, il Tribunale dichiaro` il difetto di legittimazione degli attori quali componenti del Comitato di difesa e rigetto` le domande. La Corte di appello di Firenze, con la sentenza ora in esame, e` andata in contrario avviso, accogliendo l`appello dei quotisti nei confronti della Cassa. In particolare, essa ha dichiarato inammissibile l`impugnazione proposta a nome del Comitato, osservando che nessun argomento specifico era stato addotto contro la statuizione del Tribunale. Inoltre, ha dichiarato il difetto assoluto di giurisdizione sulle domande nei confronti della Banca d`Italia, osservando che rispetto all`esercizio dei poteri di controllo e di repressione conferiti alla Banca delle leggi in materia non si configurano posizioni di diritto soggettivo di privati, ma, al piu`, di interesse legittimo, che non consentono l`azione risarcitoria. Quanto all`appello dei quotisti uti singuli, la Corte ha escluso che il negozio di sottoscrizione dei titoli emessi dalla Cassa puo` essere ricondotto allo schema del contratto di mutuo e che l`emissione stessa si ponga in contrasto con l`art. 2004 c.c.; ed ha escluso altresi` la violazione delle norme del T.U. n. 967 del 1929 sulle casse di risparmio, in base alla considerazione che il fenomeno dell`emissione, da parte degli enti creditizi pubblici, di titoli di partecipazione al capitale sottoscritti da privati e` stato riconosciuto lecito dal legislatore in numerose norme, per cui non essendo possibile inquadrare i relativi contratti in uno schema legale tipico, doveva affermarsi – a parere della Corte – la loro conformita` all`ordinamento. La Corte ha tuttavia accolto l`impugnazione e dichiarato la nullita` dei negozi di sottoscrizione ritenendo che l`invalidita` degli stessi discenda dalla “illimitatezza“ della durata dei titoli, destinati ad essere rimborsati solo alla liquidazione della Cassa. In particolare, essa ha osservato che un`obbligazione a tempo illimitato e` contraria ai principi dell`ordinamento, il quale non ammette che un soggetto venga a trovarsi vincolato per sempre verso altri se pure per propria volonta`, senza possibilita` di recedere dal rapporto o comunque di porre termine allo stesso; che l`assenza di ogni scadenza conferisce al negozio di sottoscrizione il carattere di assoluta aleatorieta` in favore esclusivo della Cassa, mai tenuta alla restituzione, sicche`, in sostanza, quello che la Cassa acquisisce come capitale di rischio in realta` per il sottoscrittore e` puramente e semplicemente capitale perduto; che nella specie non puo` invocarsi l`art. 1183 cod. civ., perche` tale norma presuppone che non sia determinato il tempo dell`adempimento, non gia` che sia esclusa la determinazione della durata dell`operazione; che di conseguenza il negozio di sottoscrizione, deve considerarsi viziato nella causa e, come tale, nullo per difetto di un requisito essenziale, siccome non meritevole di tutela dell`ordinamento. Pertanto la Corte ha condannato la Cassa a rimborsare agli appellanti le somme versate, con gli interessi dell`11% comprensivi di interessi; ed ha altresi` condannato gli appellanti al rimborso delle spese dei due gradi del giudizio nei confronti della Banca d`Italia. Avverso la sentenza ha proposto ricorso la Cassa in base a due motivo. Resistono i quotisti con controricorso, con il quale hanno altresi` proposto gravame incidentale in base a tre motivi. Anche la Banca d`Italia ha proposto ricorso incidentale, affidato ad unico motivo. Tutte le parti hanno presentato memorie.
Diritto
1. – In via preliminare deve essere disposta la riunione dei ricorsi perche` proposti contro la stessa sentenza (art. 335 c.p.c.) e vanno dichiarati inammissibili il controricorso e il ricorso incidentale proposti dai quotisti Landini, Gori, Vignolini e Bellucci nella (asserita) qualita` di componenti del consiglio direttivo di un comitato denominato “Comitato di tutela dei quotisti della Cassa di Risparmio di Prato“. Premesso, infatti, che il Tribunale aveva negato la legittimazione “processuale e sostanziale“ degli stessi in quanto non avevano provato neppure l`esistenza del comitato per il quale dichiaravano di agire, la Corte di appello ha osservato che l`appello proposto in nome del medesimo comitato era del tutto “carente di motivi“ e percio` manifestamente inammissibile. Contro questa statuizione nessuna censura e` stata mossa con il ricorso incidentale, essendosi i suddetti quotisti ancora una volta limitati ad enunciare la loro qualita` di rappresentati del (sedicente) Comitato, e percio` sul punto del loro difetto di legittimazione e della inammissibilita` dell`appello la sentenza e` passata in giudicato, con la conseguenza che essi, nella qualita`, non hanno veste per partecipare al giudizio (nel quale continuano ad essere presenti, invece, uti singuli). 2. – I due motivi del ricorso principale della Cassa di Risparmio e il terzo motivo del ricorso incidentale dei quotisti indicati sub 1) vanno esaminati insieme perche` riguardano le medesime questioni risolte dalla sentenza impugnata per pervenire alla statuizione con la quale ha dichiarato la nullita` dei “negozi di sottoscrizione“ delle quote di risparmio emesse dalla Cassa. La Corte di appello ha ritenuto che: a) l`emissione di titoli di partecipazione di privati al capitale dell`ente era, in principio, lecita perche` non vietata dalle disposizioni del t.u. 24 maggio 1929, n. 957 (NDR: cosi` nel testo), sulle casse di risparmio e, anzi, espressamente o implicitamente consentita da norme fiscali e di altra natura; b) tuttavia i contratti atipici di sottoscrizione di detti titoli dovevano nella specie ritenersi nulli perche` privi di un termine finale e percio` contrastanti con il principio generale che – a parere della Corte – vieta le obbligazioni perpetue, essendo cosi` viziati nella causa e, come tali, non meritevoli di tutela ad opera dell`ordinamento giuridico (ex art. 1325 c.c.). Le critiche formulate con il ricorso principale investono sotto un duplice profili la motivazione sub b): da un lato, si contesta che i negozi suddetti siano costitutivi di obbligazioni in senso tecnico, mentre danno vita a rapporti di partecipazione non dissimili da quelli originati dalle azioni di risparmio e ai quali non e` riferibile il (preteso) divieto di vincoli perpetui, per cui sono pienamente legittimi, come riconosciuto (sub a) dalla stessa sentenza, percio` viziata anche per contraddittorieta` della motivazione; da un altro lato, sul piano puramente civilistico, si nega l`esistenza di un principio di ordine pubblico comportante la necessaria temporaneita` dei vincoli obbligatori, sicuramente non operante, per altro, in presenza di meccanismi compensativi quali la facolta` di recesso o, come nella specie, la libera disponibilita` della posizione giuridica. I quotisti censurano, invece, la motivazione riassunta sub a) in quanto negano che sia consentita, in base alla vigente disciplina delle casse di risparmio, l`emissione di titoli concernenti quote di risparmio: sostengono che questi comportavano, nella specie, la partecipazione dei sottoscritti al capitale dell`ente ed attribuivano a costoro, quindi, la qualita` di socio, in contrasto con la normativa propria delle casse ed altresi` con il principio di tassativita` delle figure societarie, che una tale forma di partecipazione ammettono solo per le societa` per azioni, mediante le azioni di risparmio di cui all`art. 14 della legge n. 216 del 1974. 3. – La risposta che la Corte di appello ha dato a questo problema deve essere condivisa, risultando infondate le critiche dei quotisti, le quali, sebbene formulate in via “eventuale“, sono in rapporto di pregiudizialita` logica e giuridica rispetto alla questione sub a). Come avverte la sentenza, l`iniziativa posta in essere dalla Cassa di Prato con le modifiche oggetto delle quattro deliberazioni innanzi indicate (una assemblea dei soci, le altre del consiglio di amministrazione), approvate dal Ministero del Tesoro il 9 giugno 1983, si iscrive nel quadro di un movimento di riforma delle casse di risparmio volto ad adeguarne l`ordinamento all`evoluzione della realta` operativa, potenziando il ruolo delle stesse come banche commerciali senza tuttavia ripudiarne la tradizionale connotazione pubblicistica. Tale orientamento modificativo – che le autorita` creditizie ritennero opportuno attuare, piuttosto che mediante interventi legislativi, appunto incoraggiando appropriate riforme statutarie – sul piano patrimoniale fu diretto all`integrazione dei mezzi propri delle casse con apporti di terzi da acquisire sul mercato, che nella prassi avvenne mediante l`emissione di titoli incorporanti diritti di natura patrimoniale e, in misura minore, diritti di natura gestionale. Fra questi occuparono un posto di rilievo le quote di risparmio, rappresentante da titoli emessi al portatore ed ispirati al modello delle azioni di risparmio, che generalmente attribuivano – oltre a qualche diritto partecipativo – posizioni di privilegio nella distribuzione degli utili e, in caso di liquidazione, nella ripartizione del capitale residuo. Tale fu la natura, accertata dalla Corte di appello, dei “titoli di risparmio al portatore liberamente negoziabili“, del valore nominale di lire 100.000 ciascuno, previsti dalla Cassa di Prato con le delibere di cui sopra, ammesse al trattamento privilegiato sotto entrambi gli aspetti suddetti: si garantiva ai possessori la priorita` nella partecipazione agli utili e la necessaria distribuzione degli stessi (eliminandosi, in pratica, la discrezionalita` dell`assemblea al riguardo), nel senso che, detratta la quota destinata a riserva, gli utili conseguiti dovevano essere destinati in primo luogo ai portatori di quote di risparmio (nella misura di 1-20 del valore nominale) e solo successivamente ad altri usi (art. 48 dello Statuto); in caso di scioglimento e liquidazione della Cassa, il capitale corrisposto dai sottoscrittori dei titoli di risparmio sarebbe stato rimborsato in prededuzione, prima di procedere al rimborso di quello sottoscritto dai portatori di quote del fondo di partecipazione ed all`assegnazione al fondo istituzionale (art. 50). Era altresi` attribuito ai portatori del titolo il diritto di essere rappresentati nell`assemblea generale, ma senza diritto di voto, e nelle sedute del consiglio di amministrazione, ma solo con voto consultivo (art. 9); i versamenti dei sottoscrittori entravano nel capitale sociale, ma il fondo di risparmio veniva tenuto distinto da quello istituzionale e non poteva superare la meta` di questo, assicurandosi cosi` il mantenimento della fisionomia giuridico-economica dell`ente; infine, allo scopo di favorire la negoziabilita` dei titoli, era prevista l`istituzione di uno speciale fondo per il riacquisto delle quote da parte della cassa (art. 4). Si tratta, quindi, di titoli aventi natura analoga a quella delle azioni di risparmio, anche quanto ai poteri partecipativi e di controllo (v. art. 16 L. n. 216 del 1974), e che, come si e` visto, furono adottati nella pratica come lo strumento piu` opportuno per attingere apporti privati, essendo stati ritenuti compatibili con la disciplina propria delle casse di risparmio dalle autorita` creditizie e di vigilanza (Ministero del Tesoro, C.I.C.R. e Banca d`Italia); le quali anche nella specie concessero le autorizzazioni e le approvazioni richieste per le modifiche statutarie, per il relativo regolamento di esecuzione e per l`emissione dei titoli. In realta`, la legittimita` dell`operazione di cui si discute – e, in genere, dell`emissione di quote di risparmio da parte delle casse di risparmio – non va accertata, come vorrebbero i ricorrenti incidentali, alla stregua della disciplina privatistica dei tipi di societa`, bensi` con riguardo alla natura di persone giuridiche pubbliche delle Casse ed all`ampia autonomia statutaria che ad esse attribuisce la legislazione speciale di settore (t.u. 25 aprile 1929, n. 967; r.d.l. 24 febbraio 1938, n. 204, convertito nella legge 3 giugno 1938, n. 778). Stante l`atipicita` degli enti pubblici, esattamente si riconosce che essi, ove non sia diversamene disposto, possono darsi forme di organizzazione atipiche, diverse da quelle previste per le (eventualmente corrispondenti) figure soggettive private; e risulta percio` lecita l`emissione di quote di risparmio (come di quote di partecipazione), trattandosi di un modello organizzatorio non precluso ne` dalla legislazione suddetta, ne` dalle disposizioni statutarie (della Cassa di Prato, come di altre casse). Il limite all`ingresso di capitali privati e` stato ravvisato dalle autorita` creditizie nell`esigenza di salvaguardare la collocazione dell`ente nel settore pubblico e, quindi, di mantenere distinto il fondo istituzionale dai fondi costituiti con i nuovi apporti; cio` che nella specie e` avvenuto, come si e` visto, essendosi altresi` previsto l`ammontare massimo del fondo di risparmio in percentuale congruamente inferiore a quella del fondo di dotazione (ne` incidono sul profilo pubblicistico gli organi istituiti per tutelare direttamente o indirettamente i sottoscrittori di quote patrimoniali). La conforma inequivoca della liceita` dell`emissione di detti titoli al portatore (che ormai pacificamente si riconosce non essere toccati dal divieto di cui all`art. 2004 c.c., che riguarda solo i titoli di credito al portatore contenenti l`obbligazione di pagare una somma di danaro) si trae da una serie di norme che ne regolano il regime fiscale e taluni effetti organizzativi. Sono particolarmente significativi, al riguardo: l`art. 48 della legge 7 agosto 1982, n. 526 (anteriore all`emissione dei titoli della Cassa di Prato) e l`art. 26 della legge 4 giugno 1985, n. 281, concernenti l`estensione ai titoli rappresentativi di quote di capitale emessi dalle casse di risparmio (nonche` altri istituti e aziende di credito pubblici) del trattamento tributario di favore concesso per le azioni di risparmio non solo al possessore, ma anche all`emittente, l`art. 7 della legge (NDR: cosi` nel testo) 27 giugno 1985, n. 350, che attiene al computo dei medesimi titoli ai fini della regolare costituzione dell`assemblea; l`art. 32 lett. h) della legge 22 ottobre 1986, n. 742, relativo all`iscrizione in bilancio delle disponibilita` corrispondenti alle quote di partecipazione al capitale. Molto importante e`, infine la disposizione dell`art. 8 del D.P.R. (NDR: cosi` nel testo) 20 novembre 1990, n. 356, che – in conformita` alla direttiva impartita dall`art. 2 lett. b) della legge delega 30 luglio 1990, n. 218 – ha espressamente previsto la conversione delle quote di risparmio in azioni di risparmio, nel quadro dei processi di trasformazione connessi alla riforma del sistema bancario pubblico. La norma di per se` vale a confutare l`argomento sul quale piu` indugiano i ricorrenti incidentali: essa evidenzia sia che le quote di risparmio non davano luogo ad azioni di risparmio, ancorche` fossero modellate su queste ultime, e sia che l`emissione di detti titoli non era preclusa dalla previsione dell`art. 14 della legge n. 216 del 1974, estranea alla materia concernente l`organizzazione degli enti pubblici creditizi. 4. – Cosi` riscontrata la liceita` dei titoli di risparmio, sono fondate le critiche rivolte dalla ricorrente principale (riassunte sub a) alla statuizione con cui la Corte di appello ha ritenuto invalidi, invece, gli atti di sottoscrizione dei titoli emessi dalla Cassa. Per pervenire alla conclusione opposta non e` neppure necessario affrontare il delicato problema sistematico circa l`esistenza e i limiti nel nostro ordinamento di un principio di ordine pubblico per cui i rapporti obbligatori avrebbero necessariamente carattere temporaneo, per essere la perpetuita` connotato riferibile solo ai diritti assoluti, mentre in quelli relativi confliggerebbe sotto vari profili con diritti costituzionali di liberta` della persona. L`estraneita` di questa problematica al tema in esame emerge da quanto innanzi evidenziato in ordine alla natura e funzione dei titoli di risparmio in questione, i quali sono rappresentativi di un rapporto di partecipazione ed un ente pubblico (creditizio) e attribuiscono al sottoscrittore una posizione giuridica complessa, comprensiva di diritti patrimoniali e di poteri lato sensu di controllo gestionale. In particolare, la posizione del sottoscrittore, pur non essendo qualificabile come rapporto sociale (non conferendo, per la struttura delle casse, la qualita` di socio) e` simile a quella dell`azionista di risparmio quanto al contenuto della partecipazione nell`ente – nel quale corrisponde ad una frazione del capitale ed implica il conferimento dei suddetti poteri corporativi – e soprattutto quanto all`incorporazione della partecipazione medesima in un titolo al portatore liberamente negoziabile. Cio` posto, gia` sul piano della disciplina civilistica va osservato che, come per le azioni, nei rapporti di partecipazione cartolarizzati al portatore, in cui vige la regola della piena e libera commerciabilita` della quota mediante cessione del titolo, il principio di temporaneita` dei rapporti obbligatori non viene in considerazione, non solo e non tanto per le radicali diversita` di struttura e funzione, quanto perche` il sottoscrittore puo` sempre liberarsi della partecipazione alienando il titolo (al pari dell`azionista, che percio` non e` prisonnier de la societe`: v., in questa linea, la sent. n. 5567 del 1982 e n. 2365 del 1978, concernenti la validita` di clausole di gradimento limitative della circolazione di titoli azionari). E` evidente, poi, la contrattazione che inficia la pronuncia, la quale, dopo avere correttamente affermato che la legittimita` dell`emissione dei titoli andava verificata con riguardo alla disciplina pubblicistica delle casse di risparmio, in astratto pervenendo a conclusione positiva, ha ritenuto di dovere ulteriormente accertare, questa volta con criteri e principi civilistici, la validita` dei negozi di sottoscrizione dei titoli emessi dalla Cassa di Prato: e cio` perche` non ne era prevista la scadenza e non era data facolta` di recesso. Sennonche` queste caratteristiche sono ordinariamente presenti nei titoli di cui si discute e sono normale conseguenza della natura di enti pubblici delle casse di risparmio, le quali, non essendo previsti limiti di durata, sono destinate ad esistere fino a quando la legge che le regola non sia abrogata o modificata da una legge successiva (com`e` accaduto per effetto della legge (NDR: cosi` nel testo) n. 356 del 1990, che ha previsto la trasformazione delle casse in societa` per azioni, all`uopo consentendo, come si e` detto, la conversione delle quote di risparmio in azioni di risparmio). Cio` comporta che la partecipazione al capitale di una cassa di risparmio (ovviamente, a struttura associativa), dovendo durare per tutta la vita della stessa, a sua volta non puo` essere limitata nel tempo: la durata tendenzialmente illimitata dell`ente implica necessariamente, cioe`, l`assenza di un termine di durata del rapporto di partecipazione. Pertanto, una volta ritenuta legittima l`emissione di quote di risparmio, come forma organizzatoria consistente nell`acquisizione al capitale dell`ente pubblico di apporti privati, deve riconoscersi altresi` la conformita` dell`ordinamento di titoli di risparmio di durata commisurata alla vita dell`ente e percio` indeterminata; la quale connotazione e`, del resto, comune ad ogni forma di partecipazione al capitale dell`ente (comprese, nel caso in esame, quelle degli enti istituzionali che partecipano alla Cassa). Risulta percio` manifestamente errato, oltre che contraddittorio, il giudizio di invalidita` espresso dalla Corte ex art. 1325 c.c., applicando, cioe`, il criterio privatistico della meritevolezza dell`interesse previsto per i contratti atipici; e non si e` avveduta la Corte che il riconoscimento della validita` dei titoli, inequivocabilmente desumibile dalle disposizioni ricordate in precedenza, concerne anche l`aspetto relativo alla durata della partecipazione. Pertanto il ricorso proposto dalla Cassa deve essere accolto. 5. – Con il primo motivo del ricorso incidentale, denunziando violazione di legge e travisamento dei fatti, i quotisti criticano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso che potessero proporre l`azione risarcitoria nei confronti della Banca d`Italia; sostengono che essi avevano dedotto non gia` il mero comportamento omissivo della Banca per il mancato promovimento delle misure cautelari di cui agli artt. 57 e 67 L. 3 marzo 1983, n. 151 (NDR: cosi` nel testo), bensi` una condotta della stessa fatta anche di “azioni positive“ e sostanzialmente concorrente nell`illecito commesso dalla Cassa di Prato attuando l`operazione di cui si discute. La censura e` fondata. Il difetto di giurisdizione in ordine alla domanda proposta (anche) contro la Banca d`Italia e` stato affermato in sentenza muovendo dalla premessa che i quotisti avessero dedotto a fondamento della pretesa soltanto il mancato esercizio dei poteri di vigilanza previsti dalla legge e non fossero abilitati, quindi, a proporre l`azione risarcitoria. E cio` in conformita` alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la Banca d`Italia, nell`esplicare l`attivita` relativa al controllo della funzione creditizia, agisce quale organo dello Stato, sicche`, a fronte dell`esercizio dei propri poteri discrezionali, non sono ravvisabili situazioni giuridiche dei privati tutelabili come diritto soggettivo; anzi, con riferimento agli interventi concernenti le situazioni di crisi delle aziende di credito, previsti dagli artt. 57 e 67 della legge bancaria abrogata – in forza di quali la Banca d`Italia si limita a proporre provvedimenti cautelari di competenza del Ministero del Tesoro – e` stato affermato che non sono ravvisabili neppure posizioni di interesse legittimo, in quanto la Banca svolge funzioni che si esauriscono nell`ambito del rapporto pubblicistico con lo Stato (v. sent. S.U. n. 1531 del 1989). Sennonche`, dalla stessa sentenza impugnata (nella parte relativa alle vicende del processo), da parte del Tribunale e dal diretto riscontro degli atti, risulta che in realta` gli attuali ricorrenti hanno proposto nei confronti della Banca d`Italia le medesime domande formulate contro la Cassa di Prato, assumendo che l`Istituto dovesse rispondere solidalmente con questa “delle restituzioni e dei danni“ conseguenziali alla dichiarazione di nullita` dei negozi di sottoscrizione dei titoli (chiesta con la domanda principale sulla quale ha statuito la Corte di appello) ovvero all`annullamento degli stessi per vizi del consenso (oggetto della domanda subordinata, non esaminata dalla Corte perche` ritenuta assorbita), cioe` per il dolo o l`errore che gli istanti ritengono ravvisabili in riferimento alla (asserita) falsa prospettazione della situazione patrimoniale della Cassa contenuta nel bando di offerta dei titoli di risparmio e nei suoi allegati. In sostanza, si deduce la partecipazione della Banca all`attivita` illegittima e mistificatoria posta in essere dalla Cassa, “per l`assoluta negligenza dell`ispezione“, che andava “ben al di la` della semplice negligenza o colpa grave“, essendo gli organi ispettivi consapevoli della reale situazione patrimoniale della Cassa (attestata dal deficit di circa mille miliardi riscontrato dopo qualche tempo); e si assume che tale comportamento dell`Istituto di vigilanza fosse stato determinante per la sottoscrizione dei titoli, in considerazione della “indubbia forza di convincimento, per i sottoscrittori, dell`autorizzazione“ dallo stesso concessa all`emissione delle quote di risparmio. In tal modo la responsabilita` della Banca d`Italia, viene dedotta, cioe`, in dipendenza di un comportamento che avrebbe travalicato i limiti dell`omesso o scorretto esercizio dei poteri di controllo e di repressione ad essa spettanti, dando luogo ad una condotta illecita che, secondo la prospettazione, rientrerebbe nella previsione dell`art. 2043 c.c. (tanto piu` che i pretesi danneggiati non sono fra i destinatari dei poteri autoritativi spettanti all`Istituto). Al riguardo, sulla base del principio per cui l`attivita` della pubblica amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalita`, deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge, ma anche dalla norma primaria del neminem laedere, questa Corte ha da tempo avvertito che e` consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato, da parte della pubblica amministrazione, un comportamento colposo tale che, in violazione di detta norma, abbia determinato la lesione di un diritto soggettivo, essendo configurabile la risarcibilita` di una lesione che si assume inferta all`integrita` del patrimonio e, piu` specificamente, al diritto di determinarsi liberamente nello svolgimento dell`attivita` negoziale relativa al patrimonio. In questa ottica, pure con riferimento a fattispecie non lontane da quella qui prospettata, si e` affermato che un siffatto illecito e` astrattamente ravvisabile anche in un comportamento colpevole consistito nella diffusione di informazioni inesatte, in omissioni ovvero in leggerezze e negligenze commesse dalla pubblica amministrazione nell`esercizio di poteri di vigilanza e controllo; nel qual caso le questioni circa la sussistenza in conc